Alberi secolari silani

Alberi secolari  silani
Una varco sbarrato, forse

sabato 2 giugno 2012

Curiosità di San Giovanni in Fiore ed alcune questioni "marrane"


San Giovanni in Fiore, sull'altipiano silano, ha una storia illustre  medievale, ed alcuni episodi meno gloriosi moderni. Racchiuso tra i monti della Sila, è divenuto non solo la patria del monaco apocalittico Gioacchino da Fiore, ma una specie di ricettacolo di minoranze religiose ed etniche.  Per questo non  fa meraviglia che abbia offerto asilo a una piccola comunità di armeni e di protestanti nel periodo moderno e contemporaneo. Non mi meraviglierebbe  se fosse stato rifugio di un gruppo di espulsi dalla Spagna  già dopo il 1492  e certamente dopo il decreto di Ancona,  nel 1540, che proibiva la permanenza degli ebrei nel Sud della penisola. Conversione o espatrio erano le conseguenze.
Sulla permanenza di ebrei o convertiti nel sangiovannese non ho prove archivistiche, faccio rilevare però alcuni elementi peculiari. 

Cognomi sangiovannesi

Un cognome appartiene ad una famiglia e una famiglia nel passato generalmente non si è mai mossa da sola.  Le famiglie hanno quasi sempre una storia comune, specialmente se appartengono a minoranze etniche. Bisogna star attenti però alle attribuzioni troppo veloci. Esistono cognomi che hanno una bivalenza, possono esser ebraici come cristiani; l'influsso arabo e bizantino nonché (anche se raro) albanese non è da sottovalutare. 

Se uno esamina, tuttavia, i cognomi di San Giovanni in Fiore si trova un dato interessante: i più conosciuti  sono  gli Oliverio (il nome più diffuso nel paese), Loria  (il terzo cognome più diffuso), Marra, Marano, Lopez,  Guarascio, Costa, Serra etc.
  • Oliverio, italianizzato da Oliveira. È uno dei più famosi cognomi marrani portoghesi, che simbolicamente sceglievano nomi di alberi, di animali, o geografici. Si veda  l'articolo di  Anita Novinsky, The myth of the Marrano Names;
  • Loria è ben conosciuta anche come Luria,  famosa famiglia sefardita che ha donato all'ebraismo un cabbalista  famoso, Isacco Luria ((1514-1572), Ari, che ha vissuto a Safed, nell'odierno Israele, ma proveniva dalla Spagna;
  • Marra, Marrano erano i cognomi/nomignoli classici degli ebrei sefarditi, convertiti di forza dal regime spagnolo al cristianesimo;
  • Lopez/Lopes non ha bisogno di spiegazione, si veda Novinsky
  • Costa, si tenga presente che anche un rione di San Giovanni si chiama  con questo nome, ed era anche un cognome Marrano, si veda Novinsky, supra. 
  • Guarascio è probabilmente un nome dato ad una famiglia o più famiglie agli ebrei  scacciati dalla penisola iberica. Il nome potrebbe venire dall'ebraico sefardita garash, gerusha, gerush nel senso di escluso ed espulso.  L'etimologia può sembrare  avventurosa se uno non avesse il riscontro del metodo e della ricerca sociologica che indica come regola  principale di cercare l'etimologia sempre nell'ambiente dove uno è vissuto. L'alternativa potrebbe esser, ma meno probabile, quella albanese da gyresh (pietra).
  •  Serra, nome anche ben conosciuto tra i marrani portoghesi
Non sono uno specialista di onomastica, ma questi nomi sono anche peculiari del Sud italiano, specialmente della Calabria e della Sicilia.  Non si trovano che nel Sud.  
 

Memoria

Esistono anche altri piccoli particolari che voglio far notare, cioè tradizioni  che sono state trasportate dalla famiglie e raccontate da generazioni a generazioni.

Pur essendo analfabeta, mia nonna aveva una memoria di favole e racconti formidabili.  Se ho studiato la leggenda della Settanta lo devo a lei. Lei mi racconto dei 72 savi che in cellette separate avrebbe tradotto tutta la bibbia allo stesso modo, con le stesse parole (vedi la prefazione al mio libro, Library, 2006). La leggenda, che si conosce dall'antichità, aveva una particolare forma sefardita, tramandata dal Sefer ha-Yashar, ripubblicato di recente da Yossi Dan nel 1986 e tradotto in inglese da Wayne Simpson. La  leggenda della Settanta è molto conosciuta nel Cristianesimo, ma non a livello popolare.
La leggenda di Roland era uno dei suoi racconti preferiti, anche essa un retaggio spagnolo-francese.

Credenze e costumi

Ci sono elementi comunque che fanno parte della cultura sangiovannese, forse ormai dimenticati.

  • Mia nonna recitava ogni sera una litania degli angeli, che io purtroppo non ricordo nei particolari. Mi ricordo solo che ogni finestra aveva il suo angioletto, e sul tetto c' era pure un angelo addetto alla protezione.   Litanie simili non sono conosciute nell'ambiente cristiano, ma nella letteratura ebraico-mistica dei palazzi (Hekhalot) che tra l'altro ha influenzato la mistica spagnola, per esempio della patrona di mia nonna, Teresa d'Avila, anche lei ebrea marrana.
  • Un elemento è la credenza secondo cui a maggio esista un  giorno sfortunato, per cui  non si sposa o non ci ci sposava per tutto il mese. Non esiste riscontro nel cristianesimo, a mia conoscenza. Un motivo potrebbe essere la credenza secondo cui tra Pesach e Shavuot ci sono 33 giorni di lutto pertinente alla morte di Rabbi Aqiva e dei suoi discepoli. In tutto il periodo di L''g ba-omer (così si chiama il periodo) non si ci sposa.  
  • C'è un particolare festivo curioso che voglio raccontare. Tutti i sangiovannesi dei miei tempi si ricordano della festa degli alberi che abbiamo festeggiato insieme da bambini alla fine di ottobre. Questa festa non ha riscontro nel calendario cristiano, ma noi bambini l'abbiamo sempre festeggiata.  Esiste una festa ebraica in ottobre-novembre che si chiama "festa degli alberi".
 
Mi fermo qui. Una ricerca seria su questo fenomeno, dovrebbe comprovare se le mie intuizioni siano o meno false. La ricerca dovrebbe partire dal 500 ed esaminare i carteggi e le filze degli archivi per appurare da dove vengono le famiglie soprannominate e d'altro canto si dovrebbe intervistare le persone anziane del paese sulle tradizioni soprannominate. Forse si riuscirà a ricostruire un capitolo della storia del marranesimo oppure della cultura popolare della Calabria.

venerdì 2 marzo 2012

Definizioni rapsodiche: camminando a vista

by Gsp Veltri on Friday, 2 March 2012 at 07:59 ·
  • A: prima lettera dell'alfabeto e prima reazione all'ignoranza, qualche volta con l'acca, che vale appunto tanto quanto si pronuncia.
  • Cicuta: Erba eterna. L'unica risposta sicura, e comprovata dai fatti,  secondo cui i  problemi e le questioni della filosofia socratico-platonica  vengono risolti solo bevendo.
  • Intelligenza:  Termine offensivo.  Quella facoltà che si pretende di avere e si nega che la abbiano gli altri. Vedi anche *stupidità*
  • Pensionato:  professione terminale: chi ha la fortuna di esserlo e chi lo è senza fortuna
  • Politico: Termine di filosofia pratica, è colui che ha il coraggio di invecchiare  senza diventar onesto
  • Povertà: Parola comune: chi la possiede non ne parla e chi ne parla la sfrutta. Solo i politici e i clericali non ne sono affetti 
  • Privato:  aggettivo politico viene da privare: il privato ti priva della tua libertà di dire che potrebbe esser tuo  quello che è suo
  • Suicida:  Non è una professione. È colui che pensa di risolvere i problemi propri creandoli agli altri
  • Studente:  professione comune, ma senza fine: è chi  pensa di arrivare alla fine del corso senza correr all'arrivo
  • Stupidità: malattia epidemica. Non la si riconosce se non negli altri; si  propaga con ogni mezzo, quando non si rispetta la logica dell'ascolto  e la tecnica della riflessione. Si può trasmettere anche senza contatto sensitivo.

sabato 21 gennaio 2012



Donna & Magia ebraica
Pensieri preliminari
su una monografia "on my desk"



Narra una tradizione ebraica medievale che l’anima umana debba percorrere stadi successivi nella sua storia d’incarnazione e morte, caratterizzati dalla mancanza di memoria, provocata a sua volta dall’impatto nella situazione successiva in cui viene a trovarsi. Quando l’anima era nella mente di Dio, la situazione di quiete e tranquillità le avrebbe indotto a rifiutare la procreazione ed il successivo innesto corporeo, materiale nel seno di una donna. Nonostante i sui pianti e le sue suppliche, l’angelo addetto, eseguendo un comando divino, dà all’anima uno schiaffo che le fa dimenticare il periodo di quiete beata. Anche nel seno della donna, l’anima è formata in un ambiente che lentamente le diviene familiare, a lei proprio, che l’induce a protestare quando le viene comunicato che dovrà lasciare la tranquillità della vita prenatale. Lo schiaffo dell’oblio origina la nascita alla vita umana, dove si adatta e si crea uno spazio di quiete e d’egoismo, d’amor sui. Alla fine dei giorni terreni, l’anima non ha voglia di lasciare questo suo mondo ameno, così induce l’angelo a darle ancor uno schiaffo per dimenticare il regno dell’umano, ritornando così nel divino.

L’immagine di questa creazione di eventi successivi, tramite vuoti di memoria, si adatta perfettamente alla nostra mentalità odierna che, in cerca di nuove sfide, oblia sistematicamente ciò che è ed era il nostro passato. Forse è proprio questo vuoto di memoria che ci fa essere ottimisti, stendendo un velo pietoso d’ignoranza sulla nostra esperienza passata.

L’idea dell’esistenza di una memoria culturale, come la chiama non senza enfasi l’egittologo e storico della cultura Jan Assmann, ci fa dimenticare che questa deve essere attualizzata per inferire nella nostra società, altrimenti saremo condannati a rivivere il passato. Il progresso mentale non può essere attualizzato se lo studio del passato è previamente selettivo, portando alla luce solo la corrente principale – “mainstream” lo chiamano gli anglosassoni – e tralasciando e depauperando le esistenze laterali che hanno contribuito alla crescita e alla formazione del pensiero generale. Questa conoscenza è certamente scomoda, perché mette in discussione e a repentaglio le certezze e le sicurezze della cultura dominante, apre però nuovi spiragli nell’apprendimento di metodi acquisitivi di nuove conoscenze. Poiché il futuro può esistere solo nell’appropriazione dialettica del passato, anche se non cosciente attualmente.

Questo vale a maggior ragione se si parla di magia e donna nell’ebraismo antico. Parlar dell’antichità non è di moda, rifletter su di essa è pero importante, se si pensa che non siamo lontani dalle paure dei nostri antenati, non siamo diventati adulti almeno nella misura in cui il mondo moderno pensa di esserlo. Il germe del passato vive nel presente, anzi persiste se non si trovano modi di riesaminarlo nelle sue radici.

Trattare di magia oggi significa, dunque, affrontare un tema anacronistico e desueto, le cui credenze, forze “occulte”, convinzioni e “scoperte” sembrano ormai esser state superate dalle nuove scienze e tecnologie le quali non lasciano più spazio al potere immaginativo. È singolare costatare in che misura la società del ventunesimo secolo abbia felicemente inibito l’uomo dall’esame della logica del quotidiano, dove la magia, ancora oggi, regna sovrana, anche se camuffata da costumi comunemente accettati, “hobbies” come l’astrologia, paure mal celate e soprattutto angosce confessate solo agli intimi o allo psichiatra. Questo è solo un aspetto della fede magica, quello della psicologia individuale impregnata da secoli e forse millenni dal potere “magico”, che ci assilla specialmente, ma non esclusivamente, se proveniamo da una società rurale. Esistono però altre implicazioni del mondo che noi chiamiamo magico, le quali vengono affrontate solo in poche pubblicazioni specializzate. Esse sono poco conosciute, seppure ne siano parte essenziale: la dimensione politica della magia nei suoi aspetti di mantenere il potere sulla base di credenze, oppure sfruttare le stesse per soggiogare gli altri; l’aspetto sociologico in cui si evidenzia la connessione e la divisione tra i gruppi che formano la società; l’ascesa delle scienze e delle tecniche a cui la magia classica ha contribuito decisamente, e, certamente non l’ultimo, il contributo che ha dato e da tuttora la magia alle convinzioni e ai riti religiosi, nella sua funzione cultica, sacrale e numinosa.

Il tema “donna” non ha bisogno d’esser presentato, data l’attualità e la presenza nei media e nella letteratura. Parlare della donna ebrea nell’ebraismo antico non è una novità assoluta, la cui presenza nella letteratura recente è forse da ricondurre al tentativo apologetico, almeno da parte della tradizione cristiana, a enfatizzare il ruolo positivo della donna ebrea neotestamentaria come simbolo emblematico dello stato della donna secondo il magistero cristiano. Di magia e donna non se ne parla. Forse perché coniugare i due temi ha uno svantaggio di metodo che potrebbe già viziare il risultato. Non s’incorre nel pericolo di apologia, se si tenta disperatamente di “salvare” culture passate cercando attenuanti per la loro caccia alle streghe? Oppure, non si ripete la stessa critica comunista-marxiana della repressione in una società dominante totalmente preda del maschile? La questione si complica ulteriormente se si delimita il campo all’ebraismo, un tema decisamente delicato, vista l’accusa antiebraica e antisemita di praticare le arti magiche per soggiogare il cristiano, di cui pubblicazioni recenti hanno attizzato quel fuoco pensato già spento.

L’esame della connessione dei tre temi, magia, donna, ed ebraismo ci dà proprio la piattaforma ideale di come accostare il soggetto, perché ci si accorgerà ben presto come nascono i cliché della società odierna e dove nascono convinzioni che ci sorprendono. Spostando l’angolo sull’antichità, d’altro canto, avremmo raggiunto quello che lo scrittore romano Cornelio Tacito chiamava la distanza dello storico (cioè “sine ita et studio”) che ci permette almeno teoreticamente lo studio senza affetto.

Il libro che sto scrivendo si propone un’indagine del magico fuori dell’usuale, esponendo alcune prospettive interpretative sull’uso e proibizione della magia nell’antichità ebraico-rabbinica (dal primo al decimo secolo dell’era corrente) come atto politico per mantenere il controllo del presente e l’autorità sul testo sacro e la tradizione. La donna acquista nel mondo rabbinico una funzione unica, anche perché contrariamente alla sua vicina romana o poi anche cristiana, aveva un educazione più elevata e non era raro che sapesse legger e scrivere. In tutti i casi doveva padroneggiare le leggi della kasherut (preparazione dei cibi secondo norme rigorosamente stabilite), della purità domestica e personale, quest’ultime legata alle mestruazioni, al rapporto sessuale e al parto, e senza dubbio anche le norme per le feste, le ricorrenze, la cura dei vivi e il ricordo dei morti. Data la funzione prettamente educativa e normativa del movimento rabbinico e perciò della concentrazione maschile sull’insegnamento, non è certo raro che la funzione amministrativa sia stata nelle mani delle donne. Questo significa che una buona parte del potere, non solo “domestico”, ma anche sociale, stava sotto il loro dominio. Questo potere venne consolidato anche, ed ironicamente, dall’ignoranza maschile della natura del femminile e di ciò che questo implica, come si cercherà di dimostrare.
 

venerdì 20 gennaio 2012

Sui ipsius (1): elogium magiae


Qualche volta bisognerebbe credere alla magia, perché da spiegazioni (irrazionali) che però acquietano l'animo umano, ci danno la possibilità di spiegar qualche cosa senza che ci si dia il senso di colpa. Infatti, quello che più ci dà fastidio, psicologicamente,  è attribuire consciamente la responsabilità del nostro operato  al nostro io responsabile. Ci rifugiamo, molto facilmente, nell’atrio del nostro io, che chiamerei exculpatio,  la cellula che ci permette di attribuire  la colpa  alla genetica o alla società; così ci sentiamo sicuri nella insicurezza generale. C’è un quantino di verità, ma solo all’ennesima potenza.

La magia ci aiuta, ci dà  certezze incredibili, il male non solo non viene da noi, ma è di  causa oscura,  operato dall’impero del male, multinazionale, una  congiura contro di noi, come la crisi economica che è certamente causata dall’ingordigia della Germania,  delle banche, delle holdings etc.  Mai vedere se siamo noi, se è la nostra stanchezza di esser uomini politici che si conquistano il tutto con la propria forza .

Ho detto che credo appassionatamente alla magia  proprio perché mi dà spiegazioni di cui non ho bisogno, ma che appagano la mia vita, il mio io. Afflitti da malattie ci piace dare la colpa ai geni,  preciso: non a quelli romantici, ma a quelli  formati da una sequenza di acidi nucleici, il famigerato DNA.  Io non ho alcuna responsabilità oggettiva, tutto dipende da un disegnatore oscuro che ha formato ed influenzato negativamente le mie sequenze. Io non devo, non posso far altro che maledirlo, esecrarlo , oppure passivamente accettarlo (non si parla di disegno divino?).

La magia delle attribuzioni tenta di lasciar la propria responsabilità fuori gioco. E forse non è del tutto errato, ci preserva da crisi depressive tremende. Meglio creder al fascino e alla maga, vicina di casa.

lunedì 16 gennaio 2012

Momenti estetici (1)

Il re e la corte
E le larve giunsero a corte
E chiesero del re,
ch'era privo di vita
Non ancora tra le zolle
Nude della terra.
Chino era il suo viso
Sul petto  d’istrione
Quel petto irsuto, carogna
Sgomento della corte, supina
Terrore del popolo, bugiardo
Gioia della plebe, canaglia
Lo acclamarono re
Nel loro furore, d’astio antico.
La morte rese duro
Quel cuore, come pietra
e le larve risero
perché non era sovrano 
nemmeno il suo cuore
era solo la morte
[autore conosciuto al bloghista] 

domenica 15 gennaio 2012

La morale  degli altri

La parola "morale" dovrebbe esser sempre qualificata dal sistema filosofico e/o religioso a cui va riferita o si autoriferisce. L'uso fattone nella vita pubblica è invece quasi sempre diretto all'altro, all'altra ai quali  si contesta qualcosa, sui quali ci si lamenta perché, per l'appunto non avrebbero  morale.
   E' come se fosse un aggettivo attributivo e predicativo dell'azione che fa l'altro, senza alcuna attinenza con se stessi, se non come persona lesa dagli altri. Nella bella Italia la morale viene invocata quando tutto va alla malora, all'orlo dell'abbisso. È allora che si alzano i Seneca che indossano la toga di saggi del mondo, i Socrate che, pur non sapendo cosa sia la cicuta, si sentono condannati a morte, anche se nessuno li ha mai presi in considerazione. Sono loro che dicono di morire per la libertà, di chi non si sa.
   E' un dato di fatto che i moralisti si qualifichino come tali da soli, autocommiserazione e autoqualificazione nello stesso tempo. E risaputo che si assurgano a giudici ed avvocati e poi condannino gli altri senz'appello. Mai se stessi. Usano le grandi testate per combattere il malcostume, la piazza per attaccar la mancanza di moralità del popolo, della massa. Mai un accenno a se stessi, mai una lamentela sul proprio comportamento. Non li ho mai visti in atteggiamento umile o almeno teatralmente contriti per darsi la colpa, per chieder perdono del male arrecato, della corruzione che hanno favorito e del male economico e sociale che hanno causato. Sono i veri traditori della società, quelli che sempre danno colpa agli altri. 



Question

“It is not the answer that enlightens, but the question” (Eugène  Ionesco):

sabato 14 gennaio 2012

Facebook

Un "social networking" è qualcosa che aiuta a coltivare o far perdere la dimensione sociale dell'individuo. Il fatto maggiore che incide sulla tastiera dell'utente è per l'appunto la tastiera, che unisce e separa, permette uscite strepitose e qualunquiste, che diventa una mitragliatrice oppure può consolare.
Come nei migliori rapporti esiste il momento in cui ci si allontana, e la lontananza  è anche una medicina.